Il mio elaborato sull’omicidio dell’on. Pio La Torre

L’anniversario dell’omicidio dell’on. Pio La Torre, avvenuto il 30 aprile 1982, mi ha riportato alla mente un elaborato che io, nella qualità di coordinatore dei CENTRI SISDe Sicilia, inviai al Direttore del SISDE il 13 maggio 1982 per dare un quadro della situazione della mafia a Palermo.

Tale elaborato, di seguito integralmente trascritto, è stato acquisito al fascicolo dibattimentale del mio processo.

In basso è presente anche la versione stampabile in formato DOC.

 

La Mafia

a cura del dott. Bruno Contrada

 

Organizzazione criminale mafiosa

Considerazioni sulla situazione attuale

Per una molteplicità di cause storiche, sociali, economiche, politiche, etniche, geografiche, etc., su cui non è qui il caso di soffermarsi, nelle province della Sicilia occidentale ed a Palermo in particolare, esiste ed opera il crimine organizzato (mafia), con radici estese e profonde nel tessuto sociale.

Esso è costituito da un coacervo di gruppi ed aggregati criminali (“famiglie” o “cosche”) di cui allo stato, è oltremodo difficile delineare la struttura, la consistenza numerica, le posizioni di preminenza, i rapporti di alleanze e di forza, l’influenza in settori economici e su territori, per i profondi mutamenti verificatisi in seno ad essi dalla primavera dell’anno scorso ad oggi, periodo in cui il quadro complessivo dell’0rganizzazione mafiosa, non solo di Palermo e provincia, ma anche delle zone limitrofe di Trapani ed Agrigento, è stato sovvertito da una cruenta lotta intestina con la conseguente soppressione di numerosi esponenti delle “famiglie” e lo smantellamento di gruppi che da tempo erano cristallizzati in posizioni di indiscusso potere mafioso.

Si ritiene fondamentale che tra le componenti essenziali della cessazione della fase di stabilizzazione dei rapporti di forza degli aggregati di mafia siano da annoverare anche importanti recenti (anni 1980/81) operazioni di polizia antimafia sviluppate e consolidate poi in sede istruttoria.

Tra esse, in primo piano, quella contro gruppi di mafia facenti capo agli INZERILLO, GAMBINO, SPATOLA, BONTATE, BADALAMENTI etc. legati principalmente alle “famiglie americane”; contro l’organizzazione siculo-francese di Gerlando ALBERTI, con lo smantellamento di attrezzati laboratori di raffinazione della droga; contro il gruppo MAFARA, anch’esso dedito prevalentemente al traffico degli stupefacenti su base internazionale e, ancora, contro il sanguinoso gruppo criminale mafioso responsabile degli omicidi del Vice Questore dott. Boris Giuliano – Dirigente della Squadra Mobile – e del Capitano dei CC. Emanuele Basile – Comandante della Compagnia dei CC. di Monreale (PA).

In precedenza, cioè nel periodo di circa tre anni da maggio del 1978 (uccisione del capo mafia Giuseppe DI CRISTINA) ad aprile 1981 (uccisione del capo mafia Stefano BONTATE), l’organizzazione mafiosa era stata caratterizzata da un effettivo ancorché tacito patto di alleanza “stipulato” tra le tradizionali e nuove “famiglie” sulla base della riconosciuta, e da tutti gli affiliati accettata necessità di coesistenza, onde realizzare con larghi margini di sicurezza i più ingenti lucri illeciti.

Prova di ciò anche la quasi totale assenza in detto lasso di tempo di soppressioni di uomini riguardevoli della mafia che, quando si verificano, costituiscono il più evidente sintomo dei contrasti e quindi di crisi negli ambienti di mafia; su questo punto, per inciso, c’è da domandarsi se le condizioni generali della sicurezza pubblica nelle zone interessate al fenomeno mafioso siano più precarie e preoccupanti allorché si registrano più frequenti casi di omicidio degli aggregati di mafia oppure nel caso contrario, quando cioè l’assenza di lotte intestine significa conseguimento di equilibri e quindi stabilizzazione e potenziamento dell’organizzazione nel complesso.

La stabilizzazione dei rapporti di forza degli aggregati di mafia con tacita e concorde ripartizione di attività e zone di influenza, rappresenta indubbiamente per le Istituzioni un fattore destabilizzante e pone in essere una situazione di pericolo più accentuato anche per gli uomini che comunque nell’ambito delle Istituzioni operano contro il crimine organizzato.

Le più recenti inchieste condotte dalla Polizia e dalla Magistratura di Palermo hanno evidenziato che i gruppi criminali mafiosi palermitani, in collegamento con quelli stranieri, specie italo- americani, nel detto periodo (1978/81) si erano dedicati, con prevalenza e preferenza rispetto ad altre attività delittuose, al traffico di sostanze stupefacenti in tutte le sue fasi:

 

a) procacciamento all’estero, in particolare nei paesi del Medio Oriente, ed importazione in Sicilia di materie (morfina base);

 

b) lavorazione, trasformazione ed esportazione all’estero (specie U.S.A. e Canada) del prodotto raffinato (eroina).

I sequestri in U.S.A. di ingenti partite di eroina provenienti dalla Sicilia, specificatamente da Palermo, Carini, Cinisi, Terrasini, Bagheria e da altri centri del palermitano, gli innumerevoli arresti di trafficanti siciliani e siculo-americani, tutti affiliati alla mafia, la scoperta in questa provincia di ben quattro raffinerie attrezzate e gestite da mafiosi con cicli di produzione dell’ordine di quintali di eroina pura destinata ad esaudire le sempre maggiori esigenze del mercato di consumo americano e dei paesi europei, sono tutti elementi che valgono a dare l’idea dell’entità e gravità del fenomeno nonché della forza, della efficienza e della inesauribile potenzialità criminale dei gruppi di mafia interessati a tutti i livelli al traffico in argomento.

Da tale attività, preminente ormai su tutte le altre tradizionalmente privilegiate dalla organizzazione (sequestri di persona, estorsioni, intermediazioni sugli acquisti delle aree fabbricabili, sulle forniture di materiali e derrate, sul collocamento della mano d’opera, erogazione crediti di favore, scelte delle aree industriali, ecc.), la mafia ha ricavato negli ultimi anni e ricava tuttora lucri incalcolabili (centinaia, migliaia di miliardi), per cui si è posta, da una parte, la necessità della struttura finanziaria per il riciclaggio della valuta estera corrispettivo delle partite di droga esportate, dall’altra, del reinvestimento del danaro proveniente dal “crimine”: da qui deriva, tra l’altro, l’accertata più massiccia presenza in vario modo di imprese mafiose o comunque collegate alla mafia nel settore dell’edilizia privata e degli appalti delle opere pubbliche, specie nell’attuale momento caratterizzato dall’impotenza degli stanziamenti e finanziamenti pubblici in Sicilia.

Quanto sopra non può realizzarsi senza il ricorso frequente ad operazioni bancarie e finanziarie: di qui il coinvolgimento di istituti di credito e di loro funzionari, come emerso da recenti indagini ed istruttorie su fatti di mafia.

Si realizza così, come accade negli Stati Uniti per “cosa nostra”, il passaggio dalle “illegitimate activities” alle “legittimate industries”.

  I n questa fase di utilizzazione delle ricchezze provenienti dalla droga e dal delitto in genere in attività economiche oggettivamente legali, si verifica il coinvolgimento diretto od indiretto, consapevole od inconsapevole, volontario o forzato di altri ambienti e ceti sociali.

E’ da sottolineare che la potenza dell’organizzazione mafiosa di questa città non è data soltanto dal numero e dalla qualità degli uomini, criminali ad alto livello, che di essa fanno parte attiva,dai mezzi economici ingentissimi di cui dispone, dai legami e patti di mutua assistenza con altri gruppi criminali italiani e stranieri, ma principalmente dal fatto che essa è profondamente inserita e ramificata, quasi connaturata nel tessuto sociale cittadino di cui è parte integrante con la disponibilità peraltro di una vastissima, indefinita ed indefinibile ” zona grigia”.

Zona Grigia ” costituita da una miriade impressionante di protettori di mafiosi o dai mafiosi protetti, favoreggiatori, conniventi, informatori, cointeressati, obbligati, debitori per danaro o favori ricevuti, ricattati, ecc., non soltanto nell’ambito naturale della malavita comune, ma anche in tutti gli altri settori della società: dagli uffici pubblici statali, regionali, provinciali e comunali ai centri di potere politico, alle banche, ai consorzi, ai grandi enti pubblici e privati, alle grosse società private o a partecipazione pubblica.

Quanto asserito non è frutto di supposizione, intuizione o sospetto, ma realtà emersa tante volte in occasione o in esito ad inchieste giudiziarie o amministrative su uomini e fatti di mafia.

I gangli vitali della mafia sono questa “zona grigia” : questa è la parte della mafia che la legge non riesce se non epidermicamente a colpire per la sua vastità, indeterminatezza, inesauribilità.

In questa particolare conformazione e struttura della società siciliana si trova la spiegazione del perché anche valide operazioni di polizia ed approfondite inchieste giudiziarie su organizzazioni criminali mafiose non incidano se non superficialmente e temporaneamente sul fenomeno criminoso.

L’enucleazione dal contesto del singolo mafioso con la carcerazione o il soggiorno obbligato, lo smembramento della “cosca” con l’individuazione dei componenti, il sequestro della partita di droga, la localizzazione del laboratorio clandestino hanno certamente un valore sul piano dell’operatività investigativa e giudiziaria, con favorevole impressione sull’opinione pubblica meno critica, ma in minima parte soltanto contribuiscono all’indebolimento dell’organizzazione nel suo complesso, in quanto permangono integre le sue strutture portanti, inviolato l’habitat naturale per la sua vitalità e proliferazione.

L’aspetto più rilevante della mafia palermitana, di cui è utile fare ancora qualche cenno per dare un’idea più aderente alla realtà attuale e forse anche per trovare una spiegazione di alcuni gravi delitti commessi negli ultimi tempi, è che essa in sostanza ha attuato un radicale passaggio dal vecchio ruolo passivo di “mediazione” ad un ruolo attivo di “accumulazione”.

La mafia svolge ormai funzioni imprenditoriali, di organizzazione della produzione edilizia, commerciale, manifatturiera, ecc.

L’inserimento della mafia nell’imprenditorialità o l’incontro della stessa con l’imprenditorialità ha dato vita alla proliferazione di “imprese mafiose”, che rispetto alle normali imprese godono di indiscussa superiorità economica perché garantite da vantaggi competitivi fondamentali.

Questi vantaggi sono:

 

•  maggiore solidità finanziaria per il travaso nelle imprese dei rilevanti capitali provenienti dai circuiti dell’attività criminale dei mafiosi, specie traffico della droga, e quindi disponibilità di riserve di auto-finanziamento maggiore di quelle delle imprese non mafiose;

•  indebolimento o addirittura mancanza della concorrenza per la capacità di intimidazione del sistema mafioso che riesce a procurarsi merci, servizi, forniture, appalti a prezzi di favore senza subire le pressioni concorrenziali cui sono sottoposte le imprese non mafiose;

•  compressione salariale e maggiore disponibilità e fluidità della mano d’opera, per i sistemi autoritari ed intimidatori tali da scoraggiare proteste o rivendicazione di diritti economici, previdenziali, ecc.

 

Questo nuovo ed originale aspetto dell’organizzazione mafiosa è emerso tra l’altro con tutta evidenza dalla recente istruttoria condotta dal Giudice Istruttore dott. FALCONE del Tribunale di Palermo nel procedimento a carico delle “famiglie di mafia” SPATOLA – GAMBINO – INZERILLO ecc., titolari di imprese edilizie strutturate secondo il modello sopra accennato.

 

Altro aspetto peculiare che si riscontra in atto è l’accentuazione del senso di sicurezza, di impunità, di intoccabilità degli uomini di mafia, sia a livello di capi che di gregari, determinata da fattori tra cui:

•  fine dei lavori della Commissione di Inchiesta sul Fenomeno Mafioso in Sicilia, senza l’attuazione sul piano concreto di validi provvedimenti;

•  inadeguatezza dell’attuale sistema delle misure di prevenzione;

•  diminuzione del potere deterrente costituito sino ad alcuni anni or sono dalle denunzie per associazione a delinquere di tipo mafioso per il mutato orientamento in proposito della Magistratura;

•  eccessivo ed ingiustificato “garantismo” a favore dei presunti mafiosi, sia nelle istruttorie per l’applicazione delle misure di prevenzione, sia nei vari stadi (Polizia Giudiziaria – Procura – Istruzione) delle indagini giudiziarie in occasione di delitti di matrice mafiosa;

•  insufficienza o addirittura mancanza di valide misure patrimoniali per colpire gli arricchimenti derivanti da attività criminali;

•  protezioni, dirette o per indirette vie, determinate spesso da cointeressenze e coinvolgimenti finanziari, da parte di certi gruppi o personaggi degli ambienti politici, amministrativi ed economici;

•  carenza di controlli e vigilanza da parte di organi che dovrebbero attivarsi per impedire che elementi mafiosi o legati alla mafia abbiano interferenze in pubbliche attività o comunque ricevano protezioni.

 

L’organizzazione criminale mafiosa – conseguito negli anni 1978/79/80 il risultato del fronte comune con l’accennato “patto di alleanza e solidarietà” tra le più potenti e prestigiose “famiglie” (BADALAMENTI, RIMI, D’ANNA, GAMBINO, INZERILLO, SPATOLA, DI MAGGIO, MARCHESE, LIGGIO, BONTATE, TERESI, DI CARLO, CONTORNO, BONURA, RICCOBONO, ecc.), per la gestione pacifica di tutte le attività proprie della mafia e specialmente del traffico della droga, ed accantonata quindi la tradizionale rivalità, aveva attuato un programma delittuoso teso all’eliminazione di qualsiasi causa e situazione, anche derivante dall’operato di uomini investiti di cariche o poteri pubblici, che potesse comunque arrecare nocumento o pericolo all’organizzazione stessa, sia nella fase primaria delle attività prettamente criminali, sia in quella conseguente della utilizzazione dei lucri nei vari settori economici.

 

Omicidi di uomini investiti di poteri,cariche, funzioni pubbliche.

 

Palermo anni 1979/80

In tale contesto trovano una spiegazione (prescindendo dalla sufficienza e validità degli elementi di prova sul piano processuale) gli omicidi perpetrati a Palermo tra il 1979 ed il 1980 in danno di uomini investiti di funzioni o poteri pubblici.

Sono crimini che hanno un denominatore comune: la mafia; cioè delitti che trovano origine e conclusione in ambienti e fatti di mafia, per situazioni, posizioni, attività e comportamenti con la mafia o contro la mafia e, infine, tutti opera di mafiosi, conosciuti o sconosciuti, mandanti o esecutori.

E’ chiaro che, dall’uno all’altro, variano le motivazioni specifiche come differenti sono le personalità, le qualità le attività delle vittime.

Per una migliore intelligenza del quadro sommario sulla mafia di oggi che si è tentato di delineare ed anche per trovare una prima ragione all’omicidio dell’On.le Pio LA TORRE è utile accennare ai crimini in argomento.

– 6 agosto 1980 – alle ore 19.00 in via Cavour a breve distanza dalla sua abitazione, veniva ucciso a colpi di rivoltella calibro 38 il dott. Gaetano Costa, Procuratore Capo della Repubblica di Palermo.

Si ritiene che il Magistrato sia stato ucciso su mandato dell’aggregato di mafia, le cui famiglie – più potenti per uomini, mezzi economici, prestigio mafioso, collegamento con altri gruppi mafiosi e con i più disparati ambienti sociali – erano quelle di GAMBINO, SPATOLA, INZERILLO, DI MAGGIO.

Di detto aggregato mafioso tratta, sia pure in modo incompleto, dal punto di vista soggettivo (individuazione degli affiliati) e da quello oggettivo (attività illecite ed apparentemente lecite) il rapporto redatto il 6.5.1980 dagli organi di Polizia Giudiziaria della P.S., dell’Arma e della Finanza, sviluppato poi in sede istruttoria.

Non è da escludere che la decisione del crimine sia stata condivisa da esponenti di altri gruppi di mafia del palermitano che, all’epoca, erano tra loro collegati da un “patto di mutua alleanza” per la gestione pacifica delle attività proprie del crimine organizzato, in primo luogo il traffico internazionale degli stupefacenti.

La causale principale del delitto risale al comportamento fermo, deciso, inflessibile del Magistrato tenuto in occasione dell’operazione di polizia del 5.5.1980, susseguente all’omicidio del Capitano dei Carabinieri Emanuele BASILE.

E’ probabile che a determinare la decisione dei mandanti del delitto sia concorso anche l’intento di intimidazione nei confronti di tutto l’apparato giudiziario, specie dei magistrati più direttamente impegnati nelle inchieste su fatti ed organizzazioni di mafia.

In altri termini, azione compiuta per colpire, colpendo il singolo magistrato (per la criminalità palermitana il Procuratore Capo è il massimo rappresentante dell’apparato giudiziario), la magistratura nel complesso, cioè inquirenti e giudicanti, allo scopo di ingenerare e diffondere terrore, timore, dubbio, cedimento, arrendevolezza, scoraggiamento ed ancora altre conseguenze di ordine pratico e psicologico, comunque tutti concorrenti a rendere più forte, temuto ed invulnerabile il crimine organizzato, nelle sue molteplici forme di attività.

– 4 maggio 1980 – alle ore 1.40 in Monreale (PA), dinanzi la Caserma della Compagnia CC. di cui aveva il comando, il Capitano Emanuele BASILE veniva colpito a morte da killers armati di rivoltella.

Il crimine è stato fondamentalmente attribuito, a livello di organizzazione e di mandanti, alla cosca mafiosa di Altofonte, strettamente legata da vincoli associativi criminosi con altri gruppi di mafia di Palermo e di altre località della provincia tra cui Corleone, nonché, a livello di esecuzione materiale, ad individuati elementi della mafia della borgata S.Lorenzo di Palermo (MADONIA, PUCCIO, BONANNO, etc.).

L’Ufficiale aveva, nei mesi precedenti la sua uccisione, svolto, con notevole contributo personale, proficue investigazioni sulle attività criminali della detta organizzazione mafiosa di Altofonte, conseguendo il risultato dell’incriminazione ed arresto di numerosi affiliati responsabili di gravi delitti, tra cui omicidi, traffico di sostanze stupefacenti ed altro.

– 6 gennaio 1980 – Alle ore 13.00 circa in via della Libertà sotto la sua abitazione, di fronte a Villa Pajno, residenza del Prefetto, ed agli uffici del 2° Distretto di Polizia, veniva ucciso a colpi di rivoltella l’On. Piersanti MATTARELLA, Presidente della Regione Siciliana.

In ordine all’omicidio, formava oggetto di maggiore interesse investigativo, ai fini dell’accertamento del movente e della identificazione del responsabile, in assenza di altre possibili causali, l’opera politico-amministrativa posta in essere dal Presidente tendente alla moralizzazione delle attività connesse al settore degli appalti delle opere pubbliche.

Infatti, tra l’altro, venivano espletati accurati accertamenti sulle procedure seguite dall’Amministrazione Comunale di Palermo per le gare di appalto per la costruzione di sei edifici scolastici compresi nel primo programma triennale, già oggetto di ispezione amministrativa promossa dallo stesso Presidente. Appalti dell’importo di circa sei miliardi cui erano interessate imprese legate alla mafia, in particolare al gruppo GAMBINO, SPATOLA, INZERILLO, etc.

– 25 settembre 1979 – Alle ore 8.40 in via Mario Rutelli, sotto la sua abitazione, veniva ucciso con numerosi colpi di carabina e pistola, il dott. Cesare TERRANOVA, Magistrato in servizio presso la Corte di Appello di Palermo.

Insieme con lui cadeva sotto i colpi dei killers anche il Maresciallo di P.S. Lenin MANCUSO, che da molti anni era la sua guardia del corpo.

Alla base delle indagini si ponevano i seguenti fatti e presupposti:

•  attività del dott. Terranova negli anni 60/70 quale Giudice Istruttore del Tribunale di Palermo: periodo nel quale il Magistrato fu officiato della istruzione di delicati ed impegnativi processi relativi a fatti di mafia interessanti sia la città di Palermo che la provincia, in specie Corleone. Le istruttorie portarono al rinvio a giudizio di numerosi affiliati ad associazioni criminali mafiose, responsabili di gravissimi delitti ed a condanne anche notevoli, tra cui quella all’ergastolo del noto esponente della mafia corleonese Luciano LIGGIO;

•  attività del dott. Terranova negli anni in cui, quale deputato al Parlamento Nazionale, ricoprì l’incarico di componente la Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla Mafia in Sicilia, occupandosi, specie negli ultimi tempi, dei lavori dell’elaborazione di proposte idonee alla repressione del fenomeno;

•  intenzione manifestata, anche pubblicamente, di candidarsi all’Ufficio di Consigliere Istruttore del Tribunale di Palermo, allora vacante, presso cui pendevano istruttorie relative a gravissimi delitti, perpetrati sia negli ambienti della criminalità comune che del crimine organizzato.

Allo stato è incriminato, quale mandante del duplice omicidio, Luciano LIGGIO, colpito da ordine di cattura emesso il 22.05.1980 dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria.

•  21 luglio 1979 – Alle ore 8.00, in via F.P. Di Blasi, nei pressi della sua abitazione, veniva ucciso a colpi di pistola calibro 7,65 il dott. G.B. GIULIANO, Vice Questore, Dirigente della Squadra Mobile di Palermo.

Il dott. Giuliano veniva assassinato in un momento in cui la Squadra Mobile, sotto la sua direzione, aveva tra l’altro, in via di svolgimento indagini su:

•  organizzazione criminale-mafiosa dedita prevalentemente al traffico di sostanze stupefacenti (eroina) e sulla localizzazione in Palermo e provincia di laboratori clandestini per la produzione dell’eroina;

•  organizzazione criminale-mafiosa individuata alla fine di aprile 1979, pochi giorni dopo la rapina alla sede della Cassa di Risparmio di via Mariano Stabile, durante la cui esecuzione era stato ucciso il metronotte SGROI; la base dei criminali era stata localizzata al Corso dei Mille in una bottega di tappezzeria per auto con rinvenimento di armi, denaro ed altro;

•  scoperta del “covo” di via Pecori Giraldi in cui erano state trovate tracce della presenza e della frequenza di elementi appartenenti a varie famiglie di mafia, legate tra loro da vincolo associativo criminoso; nei locali della base erano state rinvenute armi, documenti ed eroina (quattro chilogrammi).

Dopo la sua uccisione, in esito a complesse, molteplici e parallele indagini, svolte da vari organi di polizia su situazioni ed azioni di criminalità diverse, si stabiliva:

•  che gli accertamenti e le investigazioni iniziate e condotte dal dott. GIULIANO su piani distinti e separati in ordine ai fatti innanzi accennati confluivano, invece, in un unico flacone, cioè attenevano ad una unica organizzazione criminale mafiosa, vasta e ramificata, potente per mezzi economici e numeri di uomini, composta da elementi provenienti da “famiglie di mafia”, tra loro collegate, forte di appoggi, complicità, connivenze, favoreggiamenti nei più disparati ambienti;

•  che il dott. GIULIANO, nonostante la carenza di elementi di fatto dovuta alla fase iniziale delle indagini e la insufficienza di dati che sarebbero venuti in risalto soltanto successivamente, aveva intuito che stava dando l’avvio ad una operazione di polizia la quale, proseguita e sviluppata con la tenacia e l’acume che lo distinguevano, avrebbe determinato lo scompaginamento nelle file di un potente aggregato di mafia colpendolo nel punto vitale, cioè nei suoi immensi lucri illeciti;

•  che l’organizzazione mafiosa aveva percepito e valutato nella sua portata il pericolo incombente ed imminente e si era quindi determinata al delitto allo scopo di sventare l’operazione in atto e di conseguire con la soppressione del Capo della Mobile il duplice risultato di far scomparire dalla scena delle indagini uno dei suoi più validi protagonisti e di creare uno sbandamento nei ranghi della Polizia Giudiziaria tale da portare una remora al paventato esito del lavoro investigativo;

•  che l’omicidio del Capitano E. Basile era da porre sulla scia della stessa vicenda criminale, cioè si era maturato, organizzato ed eseguito nello stesso ambiente di mafia per motivazioni e ragioni analoghe a quelle del dott. GIULIANO, ad opera dello stesso aggregato criminale con diversità nella scelta degli esecutori materiali.

Allo stato il procedimento penale a carico dei responsabili dei due omicidi (MARCHESE Filippo ed altri) è in fase istruttoria.

•  9 marzo 1979 – Alle ore 22 in via Principe di Paternò, veniva ucciso a colpi di rivoltella calibro 38, mentre si trovava in compagnia della moglie e di alcuni amici, il dott. Michele REINA, Segretario Provinciale della D.C. di Palermo.

Gli autori dell’omicidio sono allo stato attuale ancora ignoti. Nel corso delle indagini svolte in merito venivano ipotizzate e vagliate le possibili matrici da cui poteva essere scaturito il crimine: tra esse assumeva, per varie ragioni, maggiore consistenza quella relativa ad una azione criminale mafiosa originata da motivi attinenti all’attività politico-amministrativa, con particolare riferimento al settore degli appalti di opere pubbliche nell’ambito dell’Amministrazione Provinciale e Comunale.

•  26 gennaio 1979 – Alle ore 21, in viale Campania, dinanzi la sua abitazione veniva ucciso a colpi di rivoltella calibro 38 Mario FRANCESE, giornalista del “Giornale di Sicilia”.

L’indagine, che non ha portato finora all’identificazione degli autori del delitto, veniva indirizzata verso vari moventi tra cui, con maggiore fondatezza i seguenti:

•  attività giornalistica su una associazione per delinquere mafiosa (c.s. “mafia della costa”), i cui componenti si erano resi responsabili di gravi delitti, quali omicidi ed estorsioni; il giornalista ucciso aveva dedicato al relativo procedimento penale non soltanto particolareggiati resoconti giudiziari, ma superando i limiti professionali aveva profuso un interesse personale, svolgendo opera affinché fosse assicurata alla vedova LA CORTE, implacabile accusatrice degli imputati, una adeguata assistenza legale nel dibattimento;

•  inchiesta giornalistica ricca di nomi e dati svolta poco prima che venisse ucciso, sulle speculazioni mafiose connesse alla costruzione della diga GARSIA, nel corleonese, anche in relazione all’omicidio del Ten. Col. Giuseppe RUSSO, commesso il 20 agosto 1977.

 

Omicidio On.le Pio LA TORRE

Segretario Regionale P.C.I.

 

Palermo, 30 aprile 1982

CENNI BIOGRAFICI SUL DEPUTATO UCCISO

•  LA TORRE Pio fu Giuseppe, nato a Palermo il 24 .12.1927, già abitante in via E. Carapello,n.10.

•  Coniugato con ZACCO Giuseppina di Franco, nata a Palermo il 25.10.1927, due figli: Filippo, nato a Palermo il 9.11.1950 – giornalista – residente a Roma e Franco, nato a Palermo il 25.6.1956 – studente.

•  Proveniente da modesta famiglia di contadini, laureato in Scienze Politiche all’Università di Palermo.

•  Iscritto al P.C.I. dal 1945, ha svolto sempre intensa attività politica, specie nell’ambiente dei contadini e dei braccianti agricoli della Sicilia.

•  Eletto nel 1960 membro del Comitato Centrale del P.C.I.

•  Dal 1962 al 1967 Segretario Regionale del P.C.I. in Sicilia

•  Elezioni 1967 – rieletto Deputato Regionale.

•  Membro della Commissione per i rapporti tra Stato e Regione.

•  In seno alla Direzione Centrale del P.C.I. ha ricoperto incarichi di V. Responsabile della Sezione Agraria e Sezione Meridionale

•  Deputato Nazionale dal 1972 (VI, VII ed VIII Legislatura).

•  Componente Commissione Bilancio e programmazione Agricoltura e Foreste, nonché della Commissione Parlamentare per l’esercizio dei poteri di controllo sulla programmazione e sull’attuazione degli interventi ordinari e straordinari nel Mezzogiorno.

•  Membro della Commissione Antimafia.

•  Dal settembre 1981 Segretario Regionale del P.C.I. in Sicilia.

 

FATTO

 

Alle ore 9.00 circa del 30 aprile 1982, in Palermo, Piazza Generale Turba, l’Onorevole Pio LA TORRE – Segretario Regionale del P.C.I. in Sicilia – ed il suo autista Rosario DI SALVO venivano uccisi a colpi di arma da fuoco da non meno di quattro individui.

L’autovettura 131 Mirafiori targata PA 629857, aveva poco prima lasciato la via E. Carapello ove al civico 10 abitava il parlamentare, ed era diretta al Corso Calatafimi, ove ha sede la Segreteria Regionale del P.C.I.; poco dopo aver superato la porta carraia della Caserma “SOLI”, veniva bloccata dall’auto Ritmo avente targa PA 498976, contraffatta, proveniente dal senso opposto.

Da questa vettura balzavano in terra due individui che aprivano il fuoco con armi automatiche contro il Deputato ed il suo accompagnatore, spalleggiati da altri due nel frattempo sopraggiunti con la moto HONDA targata PA100382, che evidentemente seguiva la Fiat 131.

L’autista DI SALVO, in un estremo tentativo di difesa, esplodeva alcuni colpi di rivoltella Smith & Wesson 38 di cui era in possesso, senza riuscire però a colpire alcuno dei criminali; l’On.le LA TORRE, nonostante titolare di licenza di porto di pistola era in quel momento disarmato.

Sul luogo del delitto venivano rinvenuti numerosi bossoli calibro 45, esplosi da almeno due armi automatiche.

Poco dopo, a breve distanza, in via Gino Marinuzzi, venivano trovati i mezzi utilizzati per l’azione criminale: la Ritmo data alle fiamme e la HONDA con i fili dell’accensione manomessi.

L’auto era stata rubata a Palermo il 30 marzo c.a. al proprietario Barresi Michele, mentre la moto il 26 aprile c.a. a Li Bassi Vincenzo.

 

INDAGINI

 

Iniziate e proseguite con il massimo impegno ed in collaborazione dagli organi di P.G., della Polizia e dell’Arma, sotto la direzione personale del Procuratore Capo della Repubblica dott. PAJNO e del Sostituto Procuratore dott. CROCE.

•  E’ stata ricostruita la dinamica dell’azione criminale e sono in corso accertamenti tecnici sui 22 bossoli rinvenuti sul luogo del delitto: di essi 14 sono stati esplosi da pistola automatica Colt 45 e gli altri 8 da un non precisato mitra calibro 45.

•  Sono state interrogate moltissime persone abitanti a Piazza Generale Turba (luogo del delitto) e Via G. Marinuzzi (strada in cui erano abbandonati i mezzi): dagli esami testimoniali non sono emersi elementi utili.

•  A cura della Polizia Scientifica è stata delineata l’immagine grafica del volto di un individuo notato in atteggiamento sospetto dinanzi l’abitazione dell’Onorevole LA TORRE, il giorno precedente l’omicidio ed anche la settimana prima: si tratta di persona di circa 25/28 anni -altezza m1,70/72 – corporatura media – colorito chiaro – capelli biondi – occhi chiari – vestito con pantaloni jeans e maglione a “vu”.

•  Sono state sottoposte ad intercettazione alcune utenze telefoniche di Palermo per l’acquisizione di elementi che possano rivelarsi utili all’inchiesta. Una di esse riveste particolare importanza per la personalità dell’utente.

•  Sono state interrogati a cura della Procura della Repubblica alcuni esponenti locali del P.C.I., fra cui: l’Onorevole Michelangelo RUSSO, Capo Gruppo del P.C.I. all’A.R.S.; Luigi COLAJANNI, attuale Segretario Regionale P.C.I..; l’Onorevole Domenico BACCHI, Giovanni FANTACI, Capo Gruppo P.C.I. al Consiglio Provinciale; Gino VIZZINI, v. Presidente dell’A.R.S.; Simona MAFAI, Capo Gruppo del P.C.I. al Consiglio Comunale. Esponenti politici anche di altri partiti saranno sentiti nei prossimi giorni.

 

MOVENTE DEL DELITTO

 

Allo stato delle indagini è prematuro ipotizzare un qualsiasi movente che non sia fondato soltanto su argomentazioni logiche o intuitive.

Pertanto, in questa sede, è opportuno limitarsi alle seguenti considerazioni basate sulle esperienze acquisite in occasione di delitti analoghi, su dati di fatto relativi alla personalità ed attività della vittima, sulle modalità esecutive del crimine, sulla conoscenza del contesto sociale-politico-economico palermitano e sulla situazione in atto della organizzazione criminale mafiosa.

•  Le modalità di esecuzione del delitto sono quelle proprie della criminalità organizzata mafiosa; di converso, si registra l’assenza di un qualsiasi elemento che possa far ritenere l’azione proveniente da organizzazioni terroristiche politicizzate del tipo di quelle operanti in altre parti del Paese.

•  Il modo di operare dei killers, le modalità dell’agguato, i mezzi utilizzati, il comportamento successivo degli esecutori, l’assenza di qualsiasi testimonianza, la inesistenza di una traccia, sia pur minima, utile per avviare le indagini, sono tutti elementi sempre riscontrati in numerose altre analoghe azioni criminali della mafia.

•  L’attività politica dell’Onorevole Pio LA TORRE nel periodo in cui ha ricoperto la carica di Segretario Regionale del P.C.I. (settembre 1981 – aprile 1982) ha avuto quali obiettivi principali:

a) rilancio del P.C.I. in crisi in Sicilia per cause varie di ordine sociale e politico;

b) promozione di una estesa ed incisiva campagna politica contro la installazione della base missilistica a Comiso;

c) lotta alla mafia.

In particolare nel perseguimento di quest’ultimo obiettivo ha profuso ogni sua energia con iniziative di vario genere proposte a livello politico regionale e nazionale, dibattiti, congressi, conferenze, interviste, articoli di stampa, incontri con esponenti delle forze politiche ed economiche e con i responsabili delle forze dell’ordine.

Egli era divenuto il simbolo della lotta antimafia , non solo nell’ambito del suo partito ma anche in tutti gli altri ambienti cittadini.

E’ opinione diffusa in questa città che l’Onorevole LA TORRE avesse quasi personalizzato il problema della mafia, ne avesse fatta una ragione di vita.

Molti, anche in ambienti qualificati, ritenevano altresì che la stessa campagna contro la base di Comiso, di cui il Parlamentare era uno dei più strenui protagonisti, fosse da lui utilizzata per l’obiettivo primario della lotta alla mafia. Peraltro, lo stesso LA TORRE di recente aveva apertamente ed ufficialmente dichiarato che l’installazione della base avrebbe inevitabilmente portato ad un allargamento e potenziamento del fenomeno mafioso.

Negli ultimi due mesi l’attività dell’Onorevole LA TORRE tendente a sensibilizzare l’opinione pubblica al problema della mafia in Sicilia ed a far sì che divenisse una questione nazionale si era vieppiù intensificata e pubblicizzata.

Risulta che all’inizio del mese di marzo aveva redatto, insieme con altri esponenti comunisti una relazione particolareggiata sullo stato della mafia suggerendo o prospettando provvedimenti concreti da adottare per fronteggiare la situazione e che tale elaborato aveva consegnato al Presidente del Consiglio.

Tra i provvedimenti assumevano particolare importanza quelli relativi alla previsione di indagini sulla attività bancaria in Sicilia e l’individuazione dei patrimoni mafiosi od alimentati da affari mafiosi.

Non è, infine, da sottovalutare anche l’opinione piuttosto diffusa in città che nella designazione del Generale Carlo Alberto DALLA CHIESA a Prefetto di Palermo (la notizia ha destato notevole allarme e preoccupazione in ambienti mafiosi o legati alla mafia ed in personaggi del mondo economico-.imprenditoriale-finanziario compromessi con la mafia), avesse avuto una parte determinante l’Onorevole LA TORRE.

Non può certo passare inosservata la circostanza che l’omicidio sia stato perpetrato alla vigilia dell’arrivo a Palermo del nuovo Prefetto e che l’azione criminale – per le sue modalità esecutive, per il tempo, il luogo, le armi ed i mezzi usati, il coinvolgimento dell’autista guardia del corpo, ecc.- sia stata fatta eseguire, da chi l’ha demandata, con voluta eclatanza intimidatoria.

CENNI SU PROVVEDIMENTI CONTRO LA MAFIA

Premesso, e ciò appare ovvio, che non c’è in atto la possibilità di proporre o suggerire soluzioni radicali per eliminare dal tessuto sociale il “cancro” della mafia, si reputa utile soffermare l’attenzione su alcuni rimedi che , allo stato, potrebbero contribuire, nel contesto di una più vasta e capillare azione antimafia da studiare ed attuare, a fronteggiare, a porre un argine ad un purtroppo prevedibile peggioramento della situazione.

•  rafforzamento, sul piano qualitativo e quantitativo, degli organismi di polizia giudiziaria impegnati più direttamente nella lotta contro la mafia (Squadra Mobile Questura, Nucleo Operativo Carabinieri e Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza);

•  realizzazione di una permanente ed effettiva collaborazione, nelle indagini sul crimine organizzato, tra i vari organismi di Polizia, previo accordi ed intese, sancite esplicitamente, rigorosamente, inderogabilmente nella opportuna sede, onde impedire che l’attuazione pratica di tale collaborazione sia lasciata alle mutevoli disponibilità e valutazioni dei vari Dirigenti e Comandanti di Uffici e Reparti;

•  riforma dell’attuale sistema delle misure di prevenzione nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose, realizzando le proposte dell’allora Deputato C. TERRANOVA, membro della Commissione Antimafia, e cioè:

•  riunione in un unico testo legislativo di tutte le norme sulla prevenzione;

•  limitare la sorveglianza speciale ai soggetti pericolosi secondo un criterio basato sui precedenti penali, sulla condotta e sul tenore di vita, sull’ambiente frequentato e sui rapporti con elementi della malavita, sul comportamento in pubblico e verso il pubblico, sulla notorietà, sui processi subiti, ecc.;

•  applicare la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in altro comune nei casi più gravi e destinare i soggiornanti presso località isolate ( non più di dieci o quindici in tutta Italia), lontane dai grossi centri, adeguatamente presidiate dalla Polizia, in modo da poter esercitare un effettivo controllo sui movimenti, sul comportamento, sui contatti e sulle comunicazioni del soggetto;

•  esecuzione della sorveglianza sia in loco, sia nella località del soggiorno obbligatorio attraverso una effettiva e capillare azione di vigilanza esercitata con i tradizionali controlli estesi anche alla osservazione del regime di vita condotto dal sorvegliato nonché della sua propensione a redimersi ed a reintegrarsi nella collettività

•  aggravamento delle pene per le contravvenzioni alle prescrizioni sulla sorveglianza speciale ed in particolar modo per l’allontanamento arbitrario dalla località del soggiorno obbligatorio;

•  attuazione di misure aventi ad oggetto il patrimonio dei mafiosi ed in specie:

•  introduzione di una norma che dia la possibilità di imporre al soggetto sottoposto a procedimento penale per il reato di associazione per delinquere e per reati che presuppongono l’esistenza di una associazione o, comunque, commessi con un’organizzazione delinquenziale, l’obbligo di presentare una dichiarazione relativa ai redditi di cui gode, alla provenienza degli stessi, alla consistenza ed all’origine del suo patrimonio mobiliare ed immobiliare;

•  possibilità di sequestro prima e confisca dopo in ordine a tutti quei beni dei quali il soggetto non sia in grado di dimostrare la legittima provenienza;

•  istituzione di una commissione parlamentare di vigilanza contro il crimine organizzato, formata da un presidente e pochi parlamentari, che possa avvalersi di organi tecnici estranei all’ambiente siciliano, per controlli, verifiche, ispezioni agli uffici pubblici ed istituti bancari nei casi in cui operazioni finanziarie o procedure d’appalti appaiano legate alla mafia;

•  creazione di un organismo centrale di polizia con compiti specifici di supervisione, coordinamento e direzione della lotta contro la mafia ed i fenomeni di delinquenza organizzata, con sede presso il Ministero dell’Interno ed articolato perifericamente per nuclei regionali (vedasi testo del documento predisposto dal Deputato Alberto MALAGUGINI sul tema della riforma dell’attuale sistema delle misure di prevenzione nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose – Documento XXIII nr.2 VI Legislatura, Vol.1°, pagina 1047 e segg., specie pagg.1056 e 1057);

•  proposta di modifica dell’art. 416 Codice Penale con previsione di norme che possano agevolare l’incriminazione di appartenenti ad associazioni mafiose.

 

Palermo, 13 maggio 1982

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