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La gestione dei pentiti

A cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 per portare a termine quella che fu una vera e propria rivoluzione politica occorreva mettere sotto processo le persone giuste. In alcuni casi per tale fine non si poteva fare altro che ricorrere ai pentiti.

Nei processi di mafia, infatti, non ci sono prove, c’è solo la parola dei pentiti.

Non a caso Tommaso Buscetta era solito dire: “volete le prove…le prove le fa il sarto”.

Purtroppo è stato fatto un uso strumentale dei “pentiti” : impropriamente così chiamati perché sicuramente essi non provano alcun dolore per la colpa commessa, ma con le loro propalazioni tendono solo a riconquistare la libertà , cui non avrebbero più diritto per la gravità dei crimini commessi, e ad assicurarsi un congruo stipendio da parte dello Stato che consente loro di vivere nell’agiatezza, se non addirittura nel lusso, a seconda dell’accusato di turno. Di essi si sono serviti personaggi privi di scrupoli per portare avanti, a seconda dei casi, una guerra tra cosche criminali mafiose, una guerra politica, una guerra tra magistrati di opposta connotazione politica o tra apparati investigativi ed informativi. Per chi portava avanti la rivoluzione politica era indispensabile avere sotto controllo la gestione dei pentiti, attraverso i vertici della polizia.

Venne costituito a tale scopo la D.I.A. (Direzione investigativa antimafia) che operava alle dipendenze dalle procure e, attraverso l’arresto di Bruno Contrada che rappresentava la memoria storica della lotta alla mafia, venne bloccato quello che era il progetto, cui erano favorevoli i vertici dello Stato, di riconversione del SISDE, che avrebbe dovuto avere la finalità di combattere tutta la criminalità organizzata (mafia, camorra e ‘ndrangheta).

Era in atto, quindi, un vero scontro tra poteri: il potere giudiziario (rappresentato essenzialmente delle procure rosse che erano espressione di una certa classe politica, che voleva il controllo della polizia attraverso la DIA) ed il potere politico che voleva la riconversione del SISDE per una più ampia e qualificata lotta alla criminalità organizzata.

L’unico sistema per annientare Contrada ed il suo progetto di riconversione del SISDE è quello di distruggerlo attraverso le accuse di alcuni “pentiti”, che lo indicano come colluso con la mafia.

La DIA si occupa delle indagini e la carriera e la vita di Bruno Contrada sono distrutte.

Alla guida della DIA vengono messe persone lucide, ma spregiudicate che gestiscono con una certa disinvoltura i pentiti. Ed è certamente inquietante che questi ultimi cominciano ad accusare Contrada soltanto allorquando non sono più gestiti dall’Alto Commissariato per la lotta alla mafia, ma dalla DIA.

La vicenda ha inizio nell’estate del 1989, dopo la cattura del pentito Totuccio Contorno, le lettere del Corvo e l’attentato all’Addaura.

Nel maggio del 1989 venne arrestato a Palermo il “pentito” Totuccio Contorno che inspiegabilmente si trovava in Sicilia, mentre avrebbe dovuto trovarsi negli Stati Uniti sotto protezione.

Nei giorni precedenti l’arresto di Contorno erano stati commessi ben diciassette delitti, compiuti ai danni delle cosche vincenti della mafia, Contorno apparteneva alle famiglie mafiose perdenti, e pertanto si sospettò che Contorno fosse tornato proprio per questo.

Ma chi lo ha fatto tornare senza che la polizia di Palermo sapesse nulla?

Ci furono in quell’occasione non poche perplessità sul modo di gestire i pentiti, che venne definito da più parti poco ortodosso.

In quel periodo la stampa era tutta vigile. I migliori cronisti che si occupavano di mafia erano all’erta. Avevano intuito che nella storia di Contorno incombeva il dubbio che il pentito fosse la pedina dell’ennesimo gioco sporco posto in essere da parte di alcuni funzionari dello Stato, funzionari che avevano ottimi rapporti con i magistrati antimafia della Procura di Palermo.

Su questa vicenda si innestano le lettere del Corvo di Palermo, che affermavano che con l’accordo di alcuni magistrati palermitani, Totuccio Contorno era stato usato come Killer di Stato.

Cosa strana, le indagini invece di indirizzarsi contro i fatti denunciati nelle lettere del Corvo, fatti che certamente meritavano un approfondimento, vennero rivolte verso l’autore delle lettere anonime.

A farne le spese fu un magistrato integerrimo, ma non allineato con il pool antimafia di Palermo, Alberto di Pisa, che aveva sostenuto la necessità di un’indagine chiarificatrice sulla presenza del pentito Contorno in Sicilia.

Dovrà aspettare quattro anni il giudice di Pisa prima di essere scagionato dall’accusa di essere il Corvo di Palermo! Intanto continuava l’allegra gestione dei pentiti..

La stagione delle calunnie si chiude con il fallito attentato dell’Addaura al giudice Falcone; da quest’attentato nacquero le prime accuse, indirizzate più che al dott. Contrada all’intero servizio di sicurezza civile (SISDE).

Infatti un maresciallo dei carabinieri fece il nome di uno stretto collaboratore di Contrada in relazione all’ordigno dell’Addaura. Quel carabiniere è stato poi condannato per calunnia ed ha patteggiato la pena. Ma chi suggerì il nome di Contrada in relazione al fallito attentato dell’Addaura?

Certamente si voleva distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai fatti di quei mesi: la vicenda Contorno e le lettere del Corvo.

Era Contrada la vittima designata di un depistaggio che tendeva a coinvolgere il SISDE!

Si aveva paura di ciò che stava emergendo: si cominciava a mettere in discussione la gestione dei pentiti.

Alla Vigilia di Natale del 1992, su ordine della Procura di Palermo, Bruno Contrada viene arrestato, il progetto di riconversione del SISDE viene definitivamente bloccato e la DIA decolla alla grande!!!!!!

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