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6 giugno 1993 – Alla moglie Adriana

6 giugno 1993 domenica

Adriana,

oggi domenica è la giornata più lunga di tutta la settimana. Le ore sono lente quasi immobili. Il tempo si ferma. Non viene mai la notte cioè il sonno che, con l’aiuto del valium, ferma almeno per alcune ore il tormento del pensiero.

Verrà il cappellano per celebrare la Messa: si apre la cappella dei detenuti. Uguale ad una qualsiasi modesta, anzi povera chiesetta di campagna. Unico elemento distintivo: il Cristo in croce, affisso alla parete, non ha soltanto chiodi che gli trafiggono le mani e la corona di spine sul capo: ha anche una catena di ferro tra un polso e l’altro. Forse ciò significa che qui, rispetto a fuori, anche Cristo ha una sofferenza in più.

Mi domando se Cristo costituiva un pericolo e per l’ebraismo e per l’impero romano, perché non ucciderlo, soltanto, con un colpo di spada? Perché il calvario del Golgota? Comprendi?

A Cristo incatenato oggi rivolgerò una preghiera: se nei “disegni superiori” sono previsti ancora debiti da pagare, che tutto ricada sul mio capo; che siano salvaguardati e tutelati i miei, i nostri figli. Per quanto riguarda me ormai sono preparato a tutto ma per Guido ed Antonio NO! Non potrei nel modo più assoluto sopportare che a loro venisse fatto il sia pur piccolo torto.

Oggi rivolgerò i pensieri anche a mio padre: è il giorno della sua nascita. Tanti anni fa nella casa di Via Ascanio e poi di Via Eurialo si festeggiava con un buon pranzo. Egli si commuoveva e, negli ultimi anni, sembrava che frenasse il pianto.

Ho sempre la mente ingombra di ricordi, del passato remoto e prossimo; è come se non avessi più spazio per pensieri che si rivolgono al futuro. Anche se penso al mare (e in questi giorni mi accade spesso) ho dinanzi agli occhi il mare del mio passato (sino all’anno scorso), mai il mare delle estati future:

Dì ad Antonio che, anche se lontano, mi è sempre, costantemente, tanto vicino.

Ti abbraccio

Bruno

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