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6 ottobre 1993 (S. Bruno) – Alla moglie Adriana

Roma, 6 ottobre 1993 – S. Bruno

Adriana,

sarai certamente angosciata al pensiero che io trascorra in triste solitudine e stato di prigionia il mio onomastico. Non esserlo perché non sono solo: ho la compagnia migliore che un uomo possa avere: la serenità d’animo derivante dalla consapevolezza della sua innocenza.

Uomini togati hanno deliberato: quell’uomo deve essere ancora ristretto tra mura, cancelli ed inferriate perché”….non vale ad escludere che il soggetto (io) commetta delitti di criminalità organizzata o della stessa specie……” (sic!).

I pensieri, le considerazioni, le valutazioni, le obiezioni, le risposte potrebbero essere infinite ma su tutte prevale un piccolo e banale ricordo: un giorno a Roma girai attorno casa per circa mezz’ora per non lasciare l’auto in divieto di sosta, per non commettere una infrazione al codice della strada…. e la contravvenzione non l’avrei pagata neanche di tasca mia… e poi, tanti, tanti, infiniti ricordi di ore tormentate per il timore di commettere errori, in buona fede, che potessero risolversi in ingiustizie verso altri uomini……

Domanda tremenda,assillante: come si può giudicare un uomo che non si conosce? Anche se si tratta di un giudizio interlocutorio ma con conseguenze pesanti quali la privazione della libertà, la compressione della dignità umana, l’inflizione di sofferenze anche ad altri innocenti che a quell’uomo sono legati da vincoli d’amore, di affetto, di solidarietà umana.

Una volta, qui a Roma, ho fatto un torto ad un mio dipendente: era stato un equivoco, un malinteso provocato da comportamento riprovevole di altri. Sono stato felice quando, accertata la verità, gli ho potuto dire che avevo sbagliato, che ne ero rammaricato, che lui comprendesse le ragioni del mio errore. Ha compreso e non c’è stato neanche bisogno che dicessi:”scusami”!

Ho scritto l’allegata richiesta-preghiera-invocazione. Che ne pensi?

Abbraccio te, Guido, Antonio, Daniela.

Bruno

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