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Il mio elaborato sull’omicidio dell’on. Pio La Torre

Omicidi di uomini investiti di poteri,cariche, funzioni pubbliche.

 

Palermo anni 1979/80

In tale contesto trovano una spiegazione (prescindendo dalla sufficienza e validità degli elementi di prova sul piano processuale) gli omicidi perpetrati a Palermo tra il 1979 ed il 1980 in danno di uomini investiti di funzioni o poteri pubblici.

Sono crimini che hanno un denominatore comune: la mafia; cioè delitti che trovano origine e conclusione in ambienti e fatti di mafia, per situazioni, posizioni, attività e comportamenti con la mafia o contro la mafia e, infine, tutti opera di mafiosi, conosciuti o sconosciuti, mandanti o esecutori.

E’ chiaro che, dall’uno all’altro, variano le motivazioni specifiche come differenti sono le personalità, le qualità le attività delle vittime.

Per una migliore intelligenza del quadro sommario sulla mafia di oggi che si è tentato di delineare ed anche per trovare una prima ragione all’omicidio dell’On.le Pio LA TORRE è utile accennare ai crimini in argomento.

– 6 agosto 1980 – alle ore 19.00 in via Cavour a breve distanza dalla sua abitazione, veniva ucciso a colpi di rivoltella calibro 38 il dott. Gaetano Costa, Procuratore Capo della Repubblica di Palermo.

Si ritiene che il Magistrato sia stato ucciso su mandato dell’aggregato di mafia, le cui famiglie – più potenti per uomini, mezzi economici, prestigio mafioso, collegamento con altri gruppi mafiosi e con i più disparati ambienti sociali – erano quelle di GAMBINO, SPATOLA, INZERILLO, DI MAGGIO.

Di detto aggregato mafioso tratta, sia pure in modo incompleto, dal punto di vista soggettivo (individuazione degli affiliati) e da quello oggettivo (attività illecite ed apparentemente lecite) il rapporto redatto il 6.5.1980 dagli organi di Polizia Giudiziaria della P.S., dell’Arma e della Finanza, sviluppato poi in sede istruttoria.

Non è da escludere che la decisione del crimine sia stata condivisa da esponenti di altri gruppi di mafia del palermitano che, all’epoca, erano tra loro collegati da un “patto di mutua alleanza” per la gestione pacifica delle attività proprie del crimine organizzato, in primo luogo il traffico internazionale degli stupefacenti.

La causale principale del delitto risale al comportamento fermo, deciso, inflessibile del Magistrato tenuto in occasione dell’operazione di polizia del 5.5.1980, susseguente all’omicidio del Capitano dei Carabinieri Emanuele BASILE.

E’ probabile che a determinare la decisione dei mandanti del delitto sia concorso anche l’intento di intimidazione nei confronti di tutto l’apparato giudiziario, specie dei magistrati più direttamente impegnati nelle inchieste su fatti ed organizzazioni di mafia.

In altri termini, azione compiuta per colpire, colpendo il singolo magistrato (per la criminalità palermitana il Procuratore Capo è il massimo rappresentante dell’apparato giudiziario), la magistratura nel complesso, cioè inquirenti e giudicanti, allo scopo di ingenerare e diffondere terrore, timore, dubbio, cedimento, arrendevolezza, scoraggiamento ed ancora altre conseguenze di ordine pratico e psicologico, comunque tutti concorrenti a rendere più forte, temuto ed invulnerabile il crimine organizzato, nelle sue molteplici forme di attività.

– 4 maggio 1980 – alle ore 1.40 in Monreale (PA), dinanzi la Caserma della Compagnia CC. di cui aveva il comando, il Capitano Emanuele BASILE veniva colpito a morte da killers armati di rivoltella.

Il crimine è stato fondamentalmente attribuito, a livello di organizzazione e di mandanti, alla cosca mafiosa di Altofonte, strettamente legata da vincoli associativi criminosi con altri gruppi di mafia di Palermo e di altre località della provincia tra cui Corleone, nonché, a livello di esecuzione materiale, ad individuati elementi della mafia della borgata S.Lorenzo di Palermo (MADONIA, PUCCIO, BONANNO, etc.).

L’Ufficiale aveva, nei mesi precedenti la sua uccisione, svolto, con notevole contributo personale, proficue investigazioni sulle attività criminali della detta organizzazione mafiosa di Altofonte, conseguendo il risultato dell’incriminazione ed arresto di numerosi affiliati responsabili di gravi delitti, tra cui omicidi, traffico di sostanze stupefacenti ed altro.

– 6 gennaio 1980 – Alle ore 13.00 circa in via della Libertà sotto la sua abitazione, di fronte a Villa Pajno, residenza del Prefetto, ed agli uffici del 2° Distretto di Polizia, veniva ucciso a colpi di rivoltella l’On. Piersanti MATTARELLA, Presidente della Regione Siciliana.

In ordine all’omicidio, formava oggetto di maggiore interesse investigativo, ai fini dell’accertamento del movente e della identificazione del responsabile, in assenza di altre possibili causali, l’opera politico-amministrativa posta in essere dal Presidente tendente alla moralizzazione delle attività connesse al settore degli appalti delle opere pubbliche.

Infatti, tra l’altro, venivano espletati accurati accertamenti sulle procedure seguite dall’Amministrazione Comunale di Palermo per le gare di appalto per la costruzione di sei edifici scolastici compresi nel primo programma triennale, già oggetto di ispezione amministrativa promossa dallo stesso Presidente. Appalti dell’importo di circa sei miliardi cui erano interessate imprese legate alla mafia, in particolare al gruppo GAMBINO, SPATOLA, INZERILLO, etc.

– 25 settembre 1979 – Alle ore 8.40 in via Mario Rutelli, sotto la sua abitazione, veniva ucciso con numerosi colpi di carabina e pistola, il dott. Cesare TERRANOVA, Magistrato in servizio presso la Corte di Appello di Palermo.

Insieme con lui cadeva sotto i colpi dei killers anche il Maresciallo di P.S. Lenin MANCUSO, che da molti anni era la sua guardia del corpo.

Alla base delle indagini si ponevano i seguenti fatti e presupposti:

•  attività del dott. Terranova negli anni 60/70 quale Giudice Istruttore del Tribunale di Palermo: periodo nel quale il Magistrato fu officiato della istruzione di delicati ed impegnativi processi relativi a fatti di mafia interessanti sia la città di Palermo che la provincia, in specie Corleone. Le istruttorie portarono al rinvio a giudizio di numerosi affiliati ad associazioni criminali mafiose, responsabili di gravissimi delitti ed a condanne anche notevoli, tra cui quella all’ergastolo del noto esponente della mafia corleonese Luciano LIGGIO;

•  attività del dott. Terranova negli anni in cui, quale deputato al Parlamento Nazionale, ricoprì l’incarico di componente la Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla Mafia in Sicilia, occupandosi, specie negli ultimi tempi, dei lavori dell’elaborazione di proposte idonee alla repressione del fenomeno;

•  intenzione manifestata, anche pubblicamente, di candidarsi all’Ufficio di Consigliere Istruttore del Tribunale di Palermo, allora vacante, presso cui pendevano istruttorie relative a gravissimi delitti, perpetrati sia negli ambienti della criminalità comune che del crimine organizzato.

Allo stato è incriminato, quale mandante del duplice omicidio, Luciano LIGGIO, colpito da ordine di cattura emesso il 22.05.1980 dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria.

•  21 luglio 1979 – Alle ore 8.00, in via F.P. Di Blasi, nei pressi della sua abitazione, veniva ucciso a colpi di pistola calibro 7,65 il dott. G.B. GIULIANO, Vice Questore, Dirigente della Squadra Mobile di Palermo.

Il dott. Giuliano veniva assassinato in un momento in cui la Squadra Mobile, sotto la sua direzione, aveva tra l’altro, in via di svolgimento indagini su:

•  organizzazione criminale-mafiosa dedita prevalentemente al traffico di sostanze stupefacenti (eroina) e sulla localizzazione in Palermo e provincia di laboratori clandestini per la produzione dell’eroina;

•  organizzazione criminale-mafiosa individuata alla fine di aprile 1979, pochi giorni dopo la rapina alla sede della Cassa di Risparmio di via Mariano Stabile, durante la cui esecuzione era stato ucciso il metronotte SGROI; la base dei criminali era stata localizzata al Corso dei Mille in una bottega di tappezzeria per auto con rinvenimento di armi, denaro ed altro;

•  scoperta del “covo” di via Pecori Giraldi in cui erano state trovate tracce della presenza e della frequenza di elementi appartenenti a varie famiglie di mafia, legate tra loro da vincolo associativo criminoso; nei locali della base erano state rinvenute armi, documenti ed eroina (quattro chilogrammi).

Dopo la sua uccisione, in esito a complesse, molteplici e parallele indagini, svolte da vari organi di polizia su situazioni ed azioni di criminalità diverse, si stabiliva:

•  che gli accertamenti e le investigazioni iniziate e condotte dal dott. GIULIANO su piani distinti e separati in ordine ai fatti innanzi accennati confluivano, invece, in un unico flacone, cioè attenevano ad una unica organizzazione criminale mafiosa, vasta e ramificata, potente per mezzi economici e numeri di uomini, composta da elementi provenienti da “famiglie di mafia”, tra loro collegate, forte di appoggi, complicità, connivenze, favoreggiamenti nei più disparati ambienti;

•  che il dott. GIULIANO, nonostante la carenza di elementi di fatto dovuta alla fase iniziale delle indagini e la insufficienza di dati che sarebbero venuti in risalto soltanto successivamente, aveva intuito che stava dando l’avvio ad una operazione di polizia la quale, proseguita e sviluppata con la tenacia e l’acume che lo distinguevano, avrebbe determinato lo scompaginamento nelle file di un potente aggregato di mafia colpendolo nel punto vitale, cioè nei suoi immensi lucri illeciti;

•  che l’organizzazione mafiosa aveva percepito e valutato nella sua portata il pericolo incombente ed imminente e si era quindi determinata al delitto allo scopo di sventare l’operazione in atto e di conseguire con la soppressione del Capo della Mobile il duplice risultato di far scomparire dalla scena delle indagini uno dei suoi più validi protagonisti e di creare uno sbandamento nei ranghi della Polizia Giudiziaria tale da portare una remora al paventato esito del lavoro investigativo;

•  che l’omicidio del Capitano E. Basile era da porre sulla scia della stessa vicenda criminale, cioè si era maturato, organizzato ed eseguito nello stesso ambiente di mafia per motivazioni e ragioni analoghe a quelle del dott. GIULIANO, ad opera dello stesso aggregato criminale con diversità nella scelta degli esecutori materiali.

Allo stato il procedimento penale a carico dei responsabili dei due omicidi (MARCHESE Filippo ed altri) è in fase istruttoria.

•  9 marzo 1979 – Alle ore 22 in via Principe di Paternò, veniva ucciso a colpi di rivoltella calibro 38, mentre si trovava in compagnia della moglie e di alcuni amici, il dott. Michele REINA, Segretario Provinciale della D.C. di Palermo.

Gli autori dell’omicidio sono allo stato attuale ancora ignoti. Nel corso delle indagini svolte in merito venivano ipotizzate e vagliate le possibili matrici da cui poteva essere scaturito il crimine: tra esse assumeva, per varie ragioni, maggiore consistenza quella relativa ad una azione criminale mafiosa originata da motivi attinenti all’attività politico-amministrativa, con particolare riferimento al settore degli appalti di opere pubbliche nell’ambito dell’Amministrazione Provinciale e Comunale.

•  26 gennaio 1979 – Alle ore 21, in viale Campania, dinanzi la sua abitazione veniva ucciso a colpi di rivoltella calibro 38 Mario FRANCESE, giornalista del “Giornale di Sicilia”.

L’indagine, che non ha portato finora all’identificazione degli autori del delitto, veniva indirizzata verso vari moventi tra cui, con maggiore fondatezza i seguenti:

•  attività giornalistica su una associazione per delinquere mafiosa (c.s. “mafia della costa”), i cui componenti si erano resi responsabili di gravi delitti, quali omicidi ed estorsioni; il giornalista ucciso aveva dedicato al relativo procedimento penale non soltanto particolareggiati resoconti giudiziari, ma superando i limiti professionali aveva profuso un interesse personale, svolgendo opera affinché fosse assicurata alla vedova LA CORTE, implacabile accusatrice degli imputati, una adeguata assistenza legale nel dibattimento;

•  inchiesta giornalistica ricca di nomi e dati svolta poco prima che venisse ucciso, sulle speculazioni mafiose connesse alla costruzione della diga GARSIA, nel corleonese, anche in relazione all’omicidio del Ten. Col. Giuseppe RUSSO, commesso il 20 agosto 1977.

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