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Il mio elaborato sull’omicidio dell’on. Pio La Torre

L’anniversario dell’omicidio dell’on. Pio La Torre, avvenuto il 30 aprile 1982, mi ha riportato alla mente un elaborato che io, nella qualità di coordinatore dei CENTRI SISDe Sicilia, inviai al Direttore del SISDE il 13 maggio 1982 per dare un quadro della situazione della mafia a Palermo.

Tale elaborato, di seguito integralmente trascritto, è stato acquisito al fascicolo dibattimentale del mio processo.

In basso è presente anche la versione stampabile in formato DOC.

 

La Mafia

a cura del dott. Bruno Contrada

 

Organizzazione criminale mafiosa

Considerazioni sulla situazione attuale

Per una molteplicità di cause storiche, sociali, economiche, politiche, etniche, geografiche, etc., su cui non è qui il caso di soffermarsi, nelle province della Sicilia occidentale ed a Palermo in particolare, esiste ed opera il crimine organizzato (mafia), con radici estese e profonde nel tessuto sociale.

Esso è costituito da un coacervo di gruppi ed aggregati criminali (“famiglie” o “cosche”) di cui allo stato, è oltremodo difficile delineare la struttura, la consistenza numerica, le posizioni di preminenza, i rapporti di alleanze e di forza, l’influenza in settori economici e su territori, per i profondi mutamenti verificatisi in seno ad essi dalla primavera dell’anno scorso ad oggi, periodo in cui il quadro complessivo dell’0rganizzazione mafiosa, non solo di Palermo e provincia, ma anche delle zone limitrofe di Trapani ed Agrigento, è stato sovvertito da una cruenta lotta intestina con la conseguente soppressione di numerosi esponenti delle “famiglie” e lo smantellamento di gruppi che da tempo erano cristallizzati in posizioni di indiscusso potere mafioso.

Si ritiene fondamentale che tra le componenti essenziali della cessazione della fase di stabilizzazione dei rapporti di forza degli aggregati di mafia siano da annoverare anche importanti recenti (anni 1980/81) operazioni di polizia antimafia sviluppate e consolidate poi in sede istruttoria.

Tra esse, in primo piano, quella contro gruppi di mafia facenti capo agli INZERILLO, GAMBINO, SPATOLA, BONTATE, BADALAMENTI etc. legati principalmente alle “famiglie americane”; contro l’organizzazione siculo-francese di Gerlando ALBERTI, con lo smantellamento di attrezzati laboratori di raffinazione della droga; contro il gruppo MAFARA, anch’esso dedito prevalentemente al traffico degli stupefacenti su base internazionale e, ancora, contro il sanguinoso gruppo criminale mafioso responsabile degli omicidi del Vice Questore dott. Boris Giuliano – Dirigente della Squadra Mobile – e del Capitano dei CC. Emanuele Basile – Comandante della Compagnia dei CC. di Monreale (PA).

In precedenza, cioè nel periodo di circa tre anni da maggio del 1978 (uccisione del capo mafia Giuseppe DI CRISTINA) ad aprile 1981 (uccisione del capo mafia Stefano BONTATE), l’organizzazione mafiosa era stata caratterizzata da un effettivo ancorché tacito patto di alleanza “stipulato” tra le tradizionali e nuove “famiglie” sulla base della riconosciuta, e da tutti gli affiliati accettata necessità di coesistenza, onde realizzare con larghi margini di sicurezza i più ingenti lucri illeciti.

Prova di ciò anche la quasi totale assenza in detto lasso di tempo di soppressioni di uomini riguardevoli della mafia che, quando si verificano, costituiscono il più evidente sintomo dei contrasti e quindi di crisi negli ambienti di mafia; su questo punto, per inciso, c’è da domandarsi se le condizioni generali della sicurezza pubblica nelle zone interessate al fenomeno mafioso siano più precarie e preoccupanti allorché si registrano più frequenti casi di omicidio degli aggregati di mafia oppure nel caso contrario, quando cioè l’assenza di lotte intestine significa conseguimento di equilibri e quindi stabilizzazione e potenziamento dell’organizzazione nel complesso.

La stabilizzazione dei rapporti di forza degli aggregati di mafia con tacita e concorde ripartizione di attività e zone di influenza, rappresenta indubbiamente per le Istituzioni un fattore destabilizzante e pone in essere una situazione di pericolo più accentuato anche per gli uomini che comunque nell’ambito delle Istituzioni operano contro il crimine organizzato.

Le più recenti inchieste condotte dalla Polizia e dalla Magistratura di Palermo hanno evidenziato che i gruppi criminali mafiosi palermitani, in collegamento con quelli stranieri, specie italo- americani, nel detto periodo (1978/81) si erano dedicati, con prevalenza e preferenza rispetto ad altre attività delittuose, al traffico di sostanze stupefacenti in tutte le sue fasi:

 

a) procacciamento all’estero, in particolare nei paesi del Medio Oriente, ed importazione in Sicilia di materie (morfina base);

 

b) lavorazione, trasformazione ed esportazione all’estero (specie U.S.A. e Canada) del prodotto raffinato (eroina).

I sequestri in U.S.A. di ingenti partite di eroina provenienti dalla Sicilia, specificatamente da Palermo, Carini, Cinisi, Terrasini, Bagheria e da altri centri del palermitano, gli innumerevoli arresti di trafficanti siciliani e siculo-americani, tutti affiliati alla mafia, la scoperta in questa provincia di ben quattro raffinerie attrezzate e gestite da mafiosi con cicli di produzione dell’ordine di quintali di eroina pura destinata ad esaudire le sempre maggiori esigenze del mercato di consumo americano e dei paesi europei, sono tutti elementi che valgono a dare l’idea dell’entità e gravità del fenomeno nonché della forza, della efficienza e della inesauribile potenzialità criminale dei gruppi di mafia interessati a tutti i livelli al traffico in argomento.

Da tale attività, preminente ormai su tutte le altre tradizionalmente privilegiate dalla organizzazione (sequestri di persona, estorsioni, intermediazioni sugli acquisti delle aree fabbricabili, sulle forniture di materiali e derrate, sul collocamento della mano d’opera, erogazione crediti di favore, scelte delle aree industriali, ecc.), la mafia ha ricavato negli ultimi anni e ricava tuttora lucri incalcolabili (centinaia, migliaia di miliardi), per cui si è posta, da una parte, la necessità della struttura finanziaria per il riciclaggio della valuta estera corrispettivo delle partite di droga esportate, dall’altra, del reinvestimento del danaro proveniente dal “crimine”: da qui deriva, tra l’altro, l’accertata più massiccia presenza in vario modo di imprese mafiose o comunque collegate alla mafia nel settore dell’edilizia privata e degli appalti delle opere pubbliche, specie nell’attuale momento caratterizzato dall’impotenza degli stanziamenti e finanziamenti pubblici in Sicilia.

Quanto sopra non può realizzarsi senza il ricorso frequente ad operazioni bancarie e finanziarie: di qui il coinvolgimento di istituti di credito e di loro funzionari, come emerso da recenti indagini ed istruttorie su fatti di mafia.

Si realizza così, come accade negli Stati Uniti per “cosa nostra”, il passaggio dalle “illegitimate activities” alle “legittimate industries”.

  I n questa fase di utilizzazione delle ricchezze provenienti dalla droga e dal delitto in genere in attività economiche oggettivamente legali, si verifica il coinvolgimento diretto od indiretto, consapevole od inconsapevole, volontario o forzato di altri ambienti e ceti sociali.

E’ da sottolineare che la potenza dell’organizzazione mafiosa di questa città non è data soltanto dal numero e dalla qualità degli uomini, criminali ad alto livello, che di essa fanno parte attiva,dai mezzi economici ingentissimi di cui dispone, dai legami e patti di mutua assistenza con altri gruppi criminali italiani e stranieri, ma principalmente dal fatto che essa è profondamente inserita e ramificata, quasi connaturata nel tessuto sociale cittadino di cui è parte integrante con la disponibilità peraltro di una vastissima, indefinita ed indefinibile ” zona grigia”.

Zona Grigia ” costituita da una miriade impressionante di protettori di mafiosi o dai mafiosi protetti, favoreggiatori, conniventi, informatori, cointeressati, obbligati, debitori per danaro o favori ricevuti, ricattati, ecc., non soltanto nell’ambito naturale della malavita comune, ma anche in tutti gli altri settori della società: dagli uffici pubblici statali, regionali, provinciali e comunali ai centri di potere politico, alle banche, ai consorzi, ai grandi enti pubblici e privati, alle grosse società private o a partecipazione pubblica.

Quanto asserito non è frutto di supposizione, intuizione o sospetto, ma realtà emersa tante volte in occasione o in esito ad inchieste giudiziarie o amministrative su uomini e fatti di mafia.

I gangli vitali della mafia sono questa “zona grigia” : questa è la parte della mafia che la legge non riesce se non epidermicamente a colpire per la sua vastità, indeterminatezza, inesauribilità.

In questa particolare conformazione e struttura della società siciliana si trova la spiegazione del perché anche valide operazioni di polizia ed approfondite inchieste giudiziarie su organizzazioni criminali mafiose non incidano se non superficialmente e temporaneamente sul fenomeno criminoso.

L’enucleazione dal contesto del singolo mafioso con la carcerazione o il soggiorno obbligato, lo smembramento della “cosca” con l’individuazione dei componenti, il sequestro della partita di droga, la localizzazione del laboratorio clandestino hanno certamente un valore sul piano dell’operatività investigativa e giudiziaria, con favorevole impressione sull’opinione pubblica meno critica, ma in minima parte soltanto contribuiscono all’indebolimento dell’organizzazione nel suo complesso, in quanto permangono integre le sue strutture portanti, inviolato l’habitat naturale per la sua vitalità e proliferazione.

L’aspetto più rilevante della mafia palermitana, di cui è utile fare ancora qualche cenno per dare un’idea più aderente alla realtà attuale e forse anche per trovare una spiegazione di alcuni gravi delitti commessi negli ultimi tempi, è che essa in sostanza ha attuato un radicale passaggio dal vecchio ruolo passivo di “mediazione” ad un ruolo attivo di “accumulazione”.

La mafia svolge ormai funzioni imprenditoriali, di organizzazione della produzione edilizia, commerciale, manifatturiera, ecc.

L’inserimento della mafia nell’imprenditorialità o l’incontro della stessa con l’imprenditorialità ha dato vita alla proliferazione di “imprese mafiose”, che rispetto alle normali imprese godono di indiscussa superiorità economica perché garantite da vantaggi competitivi fondamentali.

Questi vantaggi sono:

 

•  maggiore solidità finanziaria per il travaso nelle imprese dei rilevanti capitali provenienti dai circuiti dell’attività criminale dei mafiosi, specie traffico della droga, e quindi disponibilità di riserve di auto-finanziamento maggiore di quelle delle imprese non mafiose;

•  indebolimento o addirittura mancanza della concorrenza per la capacità di intimidazione del sistema mafioso che riesce a procurarsi merci, servizi, forniture, appalti a prezzi di favore senza subire le pressioni concorrenziali cui sono sottoposte le imprese non mafiose;

•  compressione salariale e maggiore disponibilità e fluidità della mano d’opera, per i sistemi autoritari ed intimidatori tali da scoraggiare proteste o rivendicazione di diritti economici, previdenziali, ecc.

 

Questo nuovo ed originale aspetto dell’organizzazione mafiosa è emerso tra l’altro con tutta evidenza dalla recente istruttoria condotta dal Giudice Istruttore dott. FALCONE del Tribunale di Palermo nel procedimento a carico delle “famiglie di mafia” SPATOLA – GAMBINO – INZERILLO ecc., titolari di imprese edilizie strutturate secondo il modello sopra accennato.

 

Altro aspetto peculiare che si riscontra in atto è l’accentuazione del senso di sicurezza, di impunità, di intoccabilità degli uomini di mafia, sia a livello di capi che di gregari, determinata da fattori tra cui:

•  fine dei lavori della Commissione di Inchiesta sul Fenomeno Mafioso in Sicilia, senza l’attuazione sul piano concreto di validi provvedimenti;

•  inadeguatezza dell’attuale sistema delle misure di prevenzione;

•  diminuzione del potere deterrente costituito sino ad alcuni anni or sono dalle denunzie per associazione a delinquere di tipo mafioso per il mutato orientamento in proposito della Magistratura;

•  eccessivo ed ingiustificato “garantismo” a favore dei presunti mafiosi, sia nelle istruttorie per l’applicazione delle misure di prevenzione, sia nei vari stadi (Polizia Giudiziaria – Procura – Istruzione) delle indagini giudiziarie in occasione di delitti di matrice mafiosa;

•  insufficienza o addirittura mancanza di valide misure patrimoniali per colpire gli arricchimenti derivanti da attività criminali;

•  protezioni, dirette o per indirette vie, determinate spesso da cointeressenze e coinvolgimenti finanziari, da parte di certi gruppi o personaggi degli ambienti politici, amministrativi ed economici;

•  carenza di controlli e vigilanza da parte di organi che dovrebbero attivarsi per impedire che elementi mafiosi o legati alla mafia abbiano interferenze in pubbliche attività o comunque ricevano protezioni.

 

L’organizzazione criminale mafiosa – conseguito negli anni 1978/79/80 il risultato del fronte comune con l’accennato “patto di alleanza e solidarietà” tra le più potenti e prestigiose “famiglie” (BADALAMENTI, RIMI, D’ANNA, GAMBINO, INZERILLO, SPATOLA, DI MAGGIO, MARCHESE, LIGGIO, BONTATE, TERESI, DI CARLO, CONTORNO, BONURA, RICCOBONO, ecc.), per la gestione pacifica di tutte le attività proprie della mafia e specialmente del traffico della droga, ed accantonata quindi la tradizionale rivalità, aveva attuato un programma delittuoso teso all’eliminazione di qualsiasi causa e situazione, anche derivante dall’operato di uomini investiti di cariche o poteri pubblici, che potesse comunque arrecare nocumento o pericolo all’organizzazione stessa, sia nella fase primaria delle attività prettamente criminali, sia in quella conseguente della utilizzazione dei lucri nei vari settori economici.

 

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